Visita all’area archeologica del Museo Minerario di Abbadia San Salvatore

Una visita tra presente e passato nei dintorni dell’area archeologica del Museo Minerario raccontata da Monia Montigiani, abitante doc. di Abbadia San Salvatore.

Un trekking tra le vecchie gallerie

Verso i primi di Agosto ricevo un invito per un evento al Parco Museo Minerario. Non sembra essere una semplice visita al museo ma un trekking alla scoperta delle vecchie gallerie. Tra i punti di interesse sono citati il pozzo Garibaldi, gli edifici della direzione, la zona delle Lame ed altro ancora. Rifletto e penso che tutto ciò si trova all’interno di quel cancello che da sempre ricordo color ruggine e assolutamente chiuso.

La visita

Il giorno della visita ci ritroviamo al museo, la guida puntuale e cordiale ad accoglierci. Solo io e mio marito siamo di Abbadia, gli altri partecipanti sono turisti in soggiorno nella zona. Percorriamo un breve tratto e poco tempo dopo ecco apparire le chiavi di quel rugginoso cancello, entriamo finalmente nell’area che all’occhio di un locale risulta inaccessibile.

Sembrava di aver riavvolto il nastro del tempo.

La guida ci ha condotto in un prato in cui sono stati lasciati i famosi vagoni di ferro, la zona chiamata “Cimitero dei vagoni”. Il termine mi è sembrato poco appropriato visto che le ruote girano ancora, segno evidente della manutenzione maniacale degli addetti ai lavori del tempo.

Poco più in là l’imbocco della Galleria XXII, una delle vie di accesso dei minatori, dove tratti dei vecchi binari spuntano dall’erba. Subito compare nella fantasia la possibilità di ripercorrere quel tratto con una sorta di treno.

Continuando la visita, passiamo davanti agli Uffici della miniera, la scritta in rilievo ben in vista e perfettamente conservata “Soc. Mercurifera Monte Amiata S.p.A”, i gradini di accesso larghi, a delimitarli due vasi in pietra, dentro i quali sicuramente facevano da cornice piante degne di trovarsi li.

Il pozzo di estrazione del cinabro

Ecco l’imponente impalcatura del pozzo Garibaldi.

Facile immaginare la gabbia che sale e scende con i vagoni che contengono il cinabro: percorreva 400 metri in un minuto e mezzo. Pensavo di aver capito male e stupefatta dalla velocità ho chiesto conferma alla guida!

Un sistema meccanico dove il ruolo dell’arganista (operaio addetto alla manovra degli argani) era cruciale: mediante avvisi sonori e indicatori dei livelli, calcolava il momento giusto, quello senza errori, per la salita di una gabbia e la discesa dell’altra in un sistema meccanico privo di computer.

Lì accanto un motore di scorta, da sostituire nel più breve tempo possibile in caso di bisogno. Possiamo curiosare dentro la sala “comandi”, tutto è rimasto come allora, il fascino dell’ingegneria meccanica…non pensavo ne avesse.

Tornando indietro, noto presumibilmente la stanza dell’infermeria, una croce rossa ad indicarla, un simbolo mutato di un tempo passato. Mi viene voglia di andare a sbirciare sotto lo sguardo della guida attento a quello che faccio.

Percorriamo la visita fino al museo e dietro di esso i forni, dove il rosso della materia solida del cinabro veniva trasformato nel pesante grigio plumbeo del liquido mercurio.

Dimenticavo gli accesi alle gallerie, tutte da scoprire come monumenti in un trekking che si può espandere in solitaria.

La visita è stata un tuffo nel passato per rivivere con l’immaginazione metodi di lavoro oramai lontani, accompagnata da un’architettura industriale a ricordarcelo punto per punto.

Racconta

Monia Montigiani

Fisioterapista, ho lavorato al Fitness Terapic Center di Firenze ed alla Permormance di Siena dedicandomi alla riabilitazione funzionale per sportivi. La famiglia e la montagna mi hanno richiamato ad abitare di nuovo questi luoghi. Adesso mi dedico alle pratiche manuali nel mio studio. Insegno Pilates da 15 anni e Rieducazione posturale da 8 anni. Nello zainetto delle mie esperienze ho una laurea in lettere ed indirizzo storico artistico, in teoria una critica d'arte.

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