In questo racconto Sacha di Fatt’amano Bistrot, ci racconta la sagra dell’acquacotta. Una narrazione che ci riporta alle origini di questo piatto quando veniva fatto come si poteva con l’acqua e con quel che c’era. Attraverso i suoi ricordi di bambina, Sasha ci trasmette il cuore di questa festa che, più che un momento di svago e leggerezza, rappresenta una tradizione di famiglia a cui tutti, proprio tutti siamo invitati a celebrare.
La Sagra dell’Acquacotta
Ogni anno a Santa Fiora si svolge in agosto, la Sagra dell’acquacotta, organizzata dall’Intercomunale Santa Fiora.
Un tempo si teneva a Bagnore sotto il castagneto che ora ospita la nascente piscina comunale. Rappresenta uno degli appuntamenti classici ed immancabili dell’estate santafiorese, così come l’immancabile colazione con la trippa del 16 Agosto.
La colazione con la trippa
Nessuno si sottrae a questo rito iniziatico che prevede la sveglia di buon ora la mattina del 16 Agosto e la colazione con un piatto di trippa al pomodoro, fumante, con una bella spolverata di parmigiano. I più arditi azzardano anche pecorino e peperoncino! A seguire bicchier di vino rosso, oppure per le signorine e gli stomaci deboli…birretta. Ora, da qualche anno, si svolge al campo sportivo di Santa Fiora ed è li che troverete la Sagra anche quest’anno nei giorni a cavallo di mezz’agosto.
La tradizione della Sagra dell’acquacotta: un pranzo in famiglia
La Sagra dell’acquacotta ha cullato negli anni gruppi di bambini sonnolenti che si addormentavano in collo alle mamme, che si godevano il frescolino della sera sotto i castagni. Ha “allevato” generazioni di ragazzetti insegnando loro l’ABC del servizio al tavolo. Ha cresciuto scuole di cucina degne di ogni Masterchef contemporaneo, e soprattutto ha sfamato mezza montagna nei giorni del mezz’agosto, macinando coperti come un autogrill.
Ci piace la Sagra dell’acquacotta, perché è un luogo del ritorno, un appuntamento fisso come tornare casa per le vacanze di Natale, è un ritornare in famiglia e, per i turisti, un partecipare ad una famiglia, perché il segreto di quest’acquacotta non sta né nelle cipolle né nel sedano, non nei pomodori o nel peperoncino: il segreto di questa zuppa e della sua sagra, sta nel cuore della gente che la fa. Che vi mette a tavola come se vi invitasse a casa sua.
La ricetta dell’acquacotta e le sue origini
Della ricetta che anima la sagra si possono dire tante cose, se ne possono annoverare infinite versioni. Addirittura qualcuno l’azzarda coi funghi, oppure con la ricotta e gli spinaci. Ma la verità è che l’acquacotta è una zuppa in viaggio, di poveri, di migranti. E’ il piatto di chi partiva con un tozzo di pane e una cipolla, forse qualche uova o una gallina in una stia, e se ne andava per un mese o due a maremmare ovvero a mietere il grano, a far covoni, lavorando tutto il giorno. E poi la sera…acquacotta. Acqua per l’appunto, insaporita con quello che passa il convento: pomodori, sedano, cipolla, se si era fortunati un uovo oppure un poco di pecorino. Ma senza le formalità della ricetta che adesso il benessere ci consente. L’acquacotta è una zuppa di pane con quello che c’è. Un pò come tutte le ricette della tradizione povera, che poi con l’agio dei nostri giorni abbiamo canonizzato. Ma ancora oggi, in ogni casa, si continua a farla ognuno a modo proprio.
La ricetta della mia nonna
Io per esempio, conosco la ricetta della mia nonna, ristoratrice e ottima cuoca, e a quella sono fedele. Solo cipolle soffritte a fuoco basso e poi peperoncino, sedano e pomodori pelati. E poi brodo, e si lascia bollire per una buona ora o anche più. A fine cottura una bella manciata di basilico fresco, aggiungendo il pecorino sul pane raffermo, tagliato a fettine sottili sottili.
Prima di scodellare nonna aggiungeva un uovo per ogni commensale, badando di abbassare il fuoco e lo metteva pochet sul pane spolverato di formaggio.
Noi ragazzi correvamo armati di cucchiai, ma delle sonore destinate sulle nocche delle mani ci ricordavano che…”l’acquacotta si mangia tiepida!” perché bisogna dare il tempo al pane di bagnarsi per benino. E’ una goduria, l’uovo caldo, ancora liquido che cola sul pane condito, quasi come mangiarlo fresco appena tolto dal nido.
Ma qualcuno ad esempio sbatte l’uovo e lo fa rapprendere. Lo dicevo prima: in ogni casa c’è una ricetta differente e ognuno crede che la propria sia la più buona.
Il mio invito
Comunque la pensiate, se vi capita d’Agosto venite a Santa Fiora e fermatevi al campo sportivo, lungo la provinciale. Venite a pranzo in famiglia, sull’Amiata.
Racconta
Sacha Naldi
Fatt’ammano bistrot, wine bar e gastronomia
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